racconto di Mara

In questi anni, alcuni e alcune di noi hanno scritto delle cose, raccontando impressioni, ricostruendo ricordi e descrivendo emozioni.

 

Quando sono rimasta incinta pensavo che tre mesi dopo il parto avrei ripreso il mio lavoro a tempo pieno, perché qualcun altro si sarebbe occupato di Agata. Quando ho partorito ho capito cosa significava davvero essere madre e questo ha suscitato in me la volontà sconosciuta di prendermi cura personalmente di lei. Nè i nonni, né una babysitter, né un asilo, avevo deciso, avrebbe preso decisioni in questa fase della sua vita al posto mio o di Roberto. In me era scattato un meccanismo di coinvolgimento e di attenzione che non aveva mai avuto eguali.

Tante scelte si sono succedute da quel momento in poi, ogni istante probabilmente, fino a quando era veramente venuto il momento di affidarla a qualcun altro perché Agata era pronta. Pochi mesi prima che compisse un anno, Roberto ed io ci siamo messi in cerca di una struttura, preferibilmente pubblica, che potesse accudirla per buona parte della giornata. Degli asili sapevamo solo che seguono regole e mentre andavamo a visitare una struttura dopo l’altra, passando da quelle pubbliche a quelle private, i nostri personali nervi scoperti emergevano, facendoci sentire scomodi e insoddisfatti.

L’approdo a Soprasotto ci è sembrato casuale all’inizio, invece oggi lo considero la conseguenza di una ricerca inconscia verso la scelta di maggior cura. Tutto è nato all’Isola Pepe Verde, un giardino comunale autogestito, dove c’è chi coltiva piante, fiori o ortaggi e dove c’è anche una piccola colonia felina. Qui durante una festa di autofinanziamento in cui siamo capitati, un’amica ci ha detto che una maestra cercava bambini per formare un asilo. Una maestra cerca bambini per formare un asilo? Ma che situazione pazzesca è questa! ci siamo detti. Così abbiamo ascoltato il racconto di Emanuela e della piccola comunità di 5 bambini che se ne andavano a spasso per il quartiere su un carretto di legno. Roba da altri tempi, ma come possono farlo in sicurezza? E se fanno un incidente con qualcuno? Queste erano solo alcune delle domande che mi affollavano la mente, mentre ce ne tornavamo a casa. Questa ragazza, che evidentemente faceva l’educatrice per vocazione e non come ripiego, disprezzava le più basilari regole dell’accudimento sicuro, gli standard di qualunque struttura pubblica e privata, pensavo. E che dire dei genitori di quei bambini? Come potevano non essere preoccupati per la sicurezza dei loro figli?

Allora mi sono messa a pensare e a discutere con Roberto e mi sono chiesta di cosa realmente avessi paura. Che qualcuno potesse aggredire la maestra mentre portava i piccoli a spasso nel quartiere? Molto improbabile…Perché allora vietarlo? Qualche giorno dopo l’avevo incontrata con i suoi bambini sulla porta di un negozio dove raccontava la storia dell’asilo a una signora che le chiedeva. Molti nel quartiere avevano sentito parlare di Soprasotto e del suo carrettino, che potevi veder spuntare al parco, o fermo a un banco del mercato, mentre la maestra spiegava loro la frutta e la verdura, o tra i carri del carnevale di quartiere.

Riflettendo avevo capito che per me il valore del coinvolgimento dei bambini, anche molto piccoli, nella vita della città, del loro piccolo pezzo di mondo, il mercato, le vie, i giardini, i negozi, era molto  più forte della mia inconscia paura verso un comportamento deregolamentato, considerato non sicuro, semplicemente perché escluso dalla prassi scolastica.

Perché impedire ai bambini di essere testimoni di ciò che accade intorno a loro fin da piccoli? Perché non lasciare che ogni mattina le maestre decidano se partire per un giro al parco, una visita in una delle piazze o dei luoghi di ritrovo del quartiere? Non è forse tutta fonte di esperienza, di educazione e apprendimento?

Quando il grande architetto finlandese Alvar Aalto venne per la prima volta a visitare il sito dove sarebbe sorta la sua prima e unica opera italiana, una chiesa nel paesino di Riola di Vergato, in provincia di Bologna, era una freddissima giornata del gennaio 1966 ma tutto il paese intervenne ad accoglierlo e applaudirlo, compresi i bambini delle scuole con le loro maestre. Per la comunità fu un evento che ancora oggi si ricorda e quei bambini non l’avrebbero mai dimenticato. Questo tipo di vissuto vorrei che non si perdesse, queste storie da condividere anche in famiglia.

Sono convinta che tutto lasci un segno, e sicuramente molto di più una giornata di sole con la sfilata di Carnevale piuttosto che l’ennesima ora di gioco libero tra quattro mura.

Esiste forse la sicurezza assoluta? E se esiste a che prezzo? Milano Ristorazione, una società “soggetta a direzione e coordinamento” del comune di Milano, fornisce pasti “per le scuole dell’infanzia, primarie, secondarie di primo grado e i nidi d’infanzia del Comune di Milano”. Oltre 70.000 bambini, come si dichiara ancora sul sito.

Come tutti ho frequentato le mense nella mia vita: quando andavo in colonia, quando studiavo come fuorisede, quando ho lavorato per una grande azienda con tanti dipendenti. In tutte queste occasioni mi è rimasta l’idea che il cibo della mensa è industriale, incolore, salato quel tanto che basta perché risulti appetitoso, ma certamente non buono e curato. E se non fosse così non sarebbe nemmeno diventato un modo di dire. Un cibo igienicamente sicuro al cento per cento su numeri di utenza così grandi si può ottenere solo standardizzando gli alimenti, per garantire la qualità sanitaria, ma non quella nutrizionale e organolettica.

Roberto è un cuoco fantastico perché ci mette amore in ognuno dei piatti che serve a me e a Agata o ai nostri amici. Chiunque ci venga a trovare non può non fermarsi a pranzo o a cena. Siccome lui non vedeva l’ora di passare dalle pappe di semolino al cibo degli adulti, quando la bimba ha compiuto un anno di vita le ha preparato la sua prima pasta alla Carbonara (col prosciutto cotto al posto del guanciale).

Di lì a poco Agata avrebbe cominciato a mangiare fuori casa, un cibo che sarebbe stato portato da un furgone, in contenitori che lo avrebbero tenuto caldo e asettico. Inizialmente mi sembrava un fatto naturale, un passaggio che fanno tutti perché non si può sempre portarsi il cibo da casa. Ma era veramente così? Ho cominciato a pensare a me stessa e a quanto preferissi prepararmi il pranzo al sacco la mattina presto, in partenza per il viaggio di una giornata. Senza contare la spesa decisamente ridotta, non c’era confronto con qualsiasi cibo preparato in un ristorante, in un caffè o comprato in un supermercato. Perché Agata non avrebbe potuto uscire la mattina con il suo sacchetto del pranzo preparato dalla mamma o dal papà?

Soprasotto ha messo la qualità e la bontà del cibo dei bambini al primo posto. Tornava a essere importante che fossero soddisfatti mentre mangiavano, dando perciò massimo valore al momento del pasto, come luogo di condivisione di un valore positivo. Non solo la loro igiene, non solo la loro sicurezza ma anche la loro felicità. Strano che con l’aumentare delle regole si fosse perso il senso del benessere, della gioia di nutrirsi.

Siccome l’asilo non ha una cucina, ogni mamma (o papà come nel nostro caso) si incarica di preparare e portare il pasto e le merende del proprio bambino. Questo ha fatto si che il pasto sia diventato un momento di convivialità e un’esperienza culturale perché i bambini, che non si attengono alle regole, assaggiano dai piatti degli altri, scoprendo così cibi, ricette e metodologie di preparazione differenti. A quel punto ci è sembrato naturale cucinare lo stesso menu per tutti, ma a turno, in modo che ogni genitore si dedicasse, più o meno una volta ogni due settimane, a preparare il pranzo e le merende per tutto il gruppo. Sapevamo benissimo che in un istituto pubblico questo sarebbe stato fuori legge, perché stavamo mettendo la vita dei nostri figli nelle mani dell’altro. Roberto ed io ci siamo trovati di nuovo faccia a faccia e ci siamo detti ad alta voce che Agata avrebbe assaggiato il cibo cucinato da altre famiglie che non conoscevamo, se non superficialmente, e che stavamo condividendo con altri genitori il compito di assicurarci che il cibo che avrebbe mangiato sarebbe stato sicuro per la sua salute. Lì per lì ci sembrava una responsabilità enorme e mille dubbi ci saltavano in testa. Ma chi ce lo fa fare? Ma perché non deleghiamo piuttosto a una mensa pubblica questa responsabilità, con le sue mille regole per la salvaguardia del bambino? Quanto mi posso fidare dei livelli di igiene degli altri? Potrò mai perdonarmi un eventuale sbaglio?

A parte quest’ultima domanda, alle altre ci siamo dati tutte le risposte in una sola, ci siamo fidati dell’unico scopo e dell’unico desiderio che accomunava noi e questi genitori fino a poco prima sconosciuti, il bene dei bambini. Eravamo certi che ciascuno a proprio modo, con criteri e possibilità differenti, avrebbe fatto di tutto per far star bene il proprio figlio, ma l’unico modo per farlo era prendersi cura di tutti.

Riflettere su questo concetto e prendere questa decisione mi ha fatto crescere molto perché mi ha messo di fronte ai miei preconcetti, alla mia visione distorta degli altri, spingendomi ad affidarmi e a credere con più forza in un bene comune, quello dei nostri bambini che come piccola comunità stavamo realizzando. Oggi ancora mi commuovo quando penso che se Agata non ha il ricambio dei pantaloncini le maestre lo prendono direttamente dal cesto di Mia e glielo fanno indossare. O quando Luca scrive sul gruppo di WhatsApp che quella mattina nessuno può accompagnare suo figlio Milo all’asilo e Gina passa a prenderlo mentre accompagna Gabriele. O quando una delle maestre ha un problema e un genitore si offre di coprire qualche ora al suo posto. Il nostro asilo è un posto in cui ogni bimbo è accudito come se fosse a casa, perché non mette barriere preventive tra lui e le educatrici. Quando c’è un problema semplicemente lo si condivide, alle riunioni o nei grupp in rete tra i genitori e le educatrici. Il problema si mette sul tavolo e ognuno si chiede se può dare una mano e quando può lo fa. Sta di fatto che chi prima e chi dopo, tutti ci siamo messi in gioco. Qualcuno non riusciva a pagare la retta del mese e abbiamo istituito un fondo cassa creato da chi, potendo, ha versato in anticipo l’ultima rata dell’anno. Qualcuno si occupa settimanalmente delle spese ordinarie, come i pannolini, le salviette e i detergenti che non paghiamo perché esiste un fondo cassa. Chi vede un’offerta al supermercato lo comunica alle famiglie e fa scorta per tutti. Chi viene spontaneamente eletta “mamma dell’asilo” e si prende cura non solo dei bambini ma anche delle mamme in difficoltà. Qualcuno organizza per genitori e nonni il corso di disostruzione pediatrica gratuito, semplicemente nell’ottica della miglior cura dei nostri figli, che in caso di bisogno vorremmo si trovassero in presenza di qualcuno che sappia come salvar loro la vita. Qualcuno si occupa di tutta la gestione generale e ci tiene uniti quando serve. Qualcuno porta una zucca enorme dai campi dei nonni e ne fa 12 parti, una per ogni famiglia e ogni maestra. Qualcuno porta le mensole di casa che non usa più, le offre e le monta come piccola biblioteca dei bambini. Qualcuno si inventa tuttofare e ripara il carrettino o toglie le macchie dai muri. Qualcuno dipinge le pareti o porta l’isolante per la zona nanna. Qualcuno organizza corsi di danza e psicomotricità. Qualcuno si offre di seguire la contabilità. Chi cura il calendario delle pappe e si assicura che la nutrizione dei bimbi sia sempre bilanciata, offrendo anche consigli sulle ricette. Chi va a salvare l’asilo dall’esondazione del Seveso. Tutti insieme organizziamo la festa di Natale.

Mi sembrava impossibile all’inizio. Confesso che chiedevo a Roberto come potevano aspettarsi che solo con una domanda la gente si muovesse e dedicasse il proprio tempo libero a fare qualcosa per l’asilo. Ho ricevuto uno schiaffo a mano tesa. La partecipazione è stata tanto naturale che oggi mi scopro a parlarne come di una famiglia allargata…A Milano si festeggiano con la chiusura delle scuole pubbliche due giorni di vacanza. Le maestre ci hanno chiesto cosa ne pensavamo e dopo qualche botta e risposta, semplicemente qualcuno ha proposto: “Perché non facciamo un giorno di vacanza invece di due, così ci veniamo incontro a metà strada”. Approvato da tutti. Se la politica internazionale fosse gestita con tanta saggezza vivremmo in un modo migliore, ha commentato Roberto.

Le mie regole si sono stravolte tutte, compresa quella da ci sono partita, cercare un posto in cui “parcheggiare in sicurezza” la nostra Agata. Oggi siamo partecipi di ogni singola decisione che la riguardi, anche quella della sua educazione come essere umano, prima che come alunna e come allieva.