10 anni di Soprasotto contro la scomparsa del servizio pubblico
Guardare indietro è un esercizio utile, talvolta crudele. Tornare al 2013, ad esempio, può essere fatto da due prospettive molto diverse, anche se solo superficialmente distanti l’una dall’altra. Da una parte, con la rabbia per quelle bambine e bambini che ogni anno sono esclusi, sempre più, dal servizio pubblico dei nidi. Numeri che crescono invece di diminuire, segno di un paese che ha deciso non di investire bensì di smantellare il settore pubblico, nonostante le nostre lotte, nonostante una pandemia globale. Un dato parla per tutti: nel 2023, nella sola città di Milano, rimangono fuori dalle graduatorie dei nidi pubblici addirittura 3360 bambini e bambine (che corrisponde a oltre il 40% della domanda). Sono numeri che fanno male e che svelano la realtà sempre più complessa di chi oggi decide di diventare genitore in Italia. Alle retoriche schiamazzanti sulla “denatalità”, verrebbe da rispondere con un sentitissimo: grazie al cazzo! Queste cifre allarmanti sono determinate da politiche pubbliche incatenate al mantra del pareggio di bilancio e della profittabilità dei servizi di cura che, da decenni, rappresentano l’unica via percorsa dalle istituzioni cittadine, anche su scala nazionale. Altrettanto allarmanti sono le scelte del governo in carica sui tagli al welfare pubblico, in piena continuità e aggravamento delle politiche di quelli precedenti. Solo per fare alcuni esempi: assisteremo al ritardo e la difficoltà nell’attuazione del piano servizi per l’infanzia del PNRR, col rischio di perdere tre miliardi di fondi destinati proprio all’accessibilità ai servizi per la fascia 0/6; alla graduale cancellazione del Reddito di Cittadinanza, che colpirà milioni di persone in difficoltà a cui l’erogazione si indirizzava; e al mancato rifinanziamento del fondo di sostegno alle locazioni e la cancellazione del fondo per morosità incolpevole. Last but not least, a un’ulteriore riduzione dei fondi per la sanità pubblica. Tutto ciò è aggravato dallo stop alle registrazioni dei figli delle famiglie arcobaleno e l’approvazione dell’ultimo decreto sul lavoro, una legge che aumenta la precarizzazione attraverso l’ampliamento dell’uso e rinnovo dei contratti a tempo determinato e l’innalzamento della soglia dei voucher, nonché la “messa in sicurezza” del lavoro minorile svolto nei percorsi di alternanza scuola-lavoro, i cosiddetti PCTO. I governi continuano così a scaricare sulle fasce più povere della popolazione, e in particolare sul corpo delle donne, gli effetti della decennale erosione del welfare, in cui la figura mitologica della madre generatrice della “nazione” (bianca) e dei suoi figli accetta di abbandonare il lavoro (42.000 dimissioni dopo il primo figlio nel 2020, di cui il 77% donne) non vedendo garantito l’accesso al servizio pubblico in generale e al nido in particolare. Un diritto reso ancora più rarefatto dalla diseguale disponibilità del servizio tra Nord e Sud Italia, tra centro e periferia.
Dall’altra parte, la galleria dell’orrore appena rivisitata, fatta di numeri che nascondono vite reali, è anche il motivo per cui ci organizziamo. A causa di questi dati e contro queste politiche, è dal 2013 che ci mobilitiamo per costruire alternative all’esclusione da una vita degna. Dare corpo a Soprasotto ha infatti voluto dire mettere in atto pratiche collettive per evitare che molte persone precarie, da poco diventate genitori, spesso senza contratti stabili e accomunati da nuove forme di parentela, precipitassero in un varco spazio-temporale che porta direttamente a più di mezzo secolo fa. Cercare soluzioni comuni per non trovarsi catapultati, da un giorno all’altro, negli anni in cui le “donne” stavano a casa e gli “uomini” lavoravano – una finzione resa oggi ancora più amara dal fatto che nessuno dei nostri stipendi è sufficiente da solo ad arrivare a fine mese. Contro questa macchina del tempo, negli anni si è costituita una comunità “incredibile”, nel senso che è difficile credere che da queste difficoltà potesse nascere un’esperienza decennale, che pratica forme di autogestione assembleari e partecipative, e che sviluppa relazioni di cura collettiva efficaci ed estremamente formative per tutt*: grandi e piccoli umani coinvolti nel progetto, chi abita il quartiere e le realtà che lo animano. Insieme, tutte queste entità hanno dato vita a una rete di cura socializzata imprevista, dando forma a un progetto che non è il fine ma uno strumento: l’autogestione e il mutualismo non sono infatti scelte sostitutive al servizio pubblico – delle “belle e simpatiche” alternative che possano finalmente dispensare economicamente le istituzioni dalle loro responsabilità – bensì pratiche conflittuali e rivendicative, che continueranno a esistere e moltiplicarsi finché non cambieranno le politiche sociali, con nuovi fondi ma soprattutto con un ripensamento strutturale della loro cruciale funzione nella società. Anche per questo viviamo con attesa e incertezza la situazione dello spazio fisico dove Soprasotto si colloca: uno spazio comunale di cui è scaduta l’assegnazione via bando all’Associazione Medionauta, che gestisce le attività del laboratorio permanente, e di cui non sappiamo ancora quale sarà il futuro e come l’amministrazione vorrà garantire la continuità.
Come dicevamo, guardare indietro diventa un esercizio
complesso se festeggiare l’incredibile comunità che siamo si intreccia con l’amarezza
di un contesto sempre più impoverito. Questa contraddizione rafforza tuttavia il nostro desiderio di continuare a pensare
che si possa cambiare rotta, che si debbano trovare soluzioni comuni,
pubbliche, accessibili. Così, continuando a costruire le alleanze
necessarie affinché sia dato ascolto a queste istanze, il 6 maggio, dalle 11.00 di mattina, la comunità allargata di
Soprasotto si incontra a Isola Pepe Verde. Per festeggiare, per stare insieme,
per raccontare l’incredibile esperienza di mutuo aiuto costruita in questi
dieci anni e per capire come andare avanti, nonostante tutto. Per continuare a
denunciare la carenza del servizio pubblico in Italia e il sempre più violento
abbandono delle persone, dei territori e delle fragilità, a partire dai bambini
e dalle bambine.
10 anni di Soprasotto contro la scomparsa del servizio pubblico
Guardare indietro è un esercizio utile, talvolta crudele. Tornare al 2013, ad esempio, può essere fatto da due prospettive molto diverse, anche se solo superficialmente distanti l’una dall’altra. Da una parte, con la rabbia per quelle bambine e bambini che ogni anno sono esclusi, sempre più, dal servizio pubblico dei nidi. Numeri che crescono invece di diminuire, segno di un paese che ha deciso non di investire bensì di smantellare il settore pubblico, nonostante le nostre lotte, nonostante una pandemia globale. Un dato parla per tutti: nel 2023, nella sola città di Milano, rimangono fuori dalle graduatorie dei nidi pubblici addirittura 3360 bambini e bambine (che corrisponde a oltre il 40% della domanda). Sono numeri che fanno male e che svelano la realtà sempre più complessa di chi oggi decide di diventare genitore in Italia. Alle retoriche schiamazzanti sulla “denatalità”, verrebbe da rispondere con un sentitissimo: grazie al cazzo! Queste cifre allarmanti sono determinate da politiche pubbliche incatenate al mantra del pareggio di bilancio e della profittabilità dei servizi di cura che, da decenni, rappresentano l’unica via percorsa dalle istituzioni cittadine, anche su scala nazionale. Altrettanto allarmanti sono le scelte del governo in carica sui tagli al welfare pubblico, in piena continuità e aggravamento delle politiche di quelli precedenti. Solo per fare alcuni esempi: assisteremo al ritardo e la difficoltà nell’attuazione del piano servizi per l’infanzia del PNRR, col rischio di perdere tre miliardi di fondi destinati proprio all’accessibilità ai servizi per la fascia 0/6; alla graduale cancellazione del Reddito di Cittadinanza, che colpirà milioni di persone in difficoltà a cui l’erogazione si indirizzava; e al mancato rifinanziamento del fondo di sostegno alle locazioni e la cancellazione del fondo per morosità incolpevole. Last but not least, a un’ulteriore riduzione dei fondi per la sanità pubblica. Tutto ciò è aggravato dallo stop alle registrazioni dei figli delle famiglie arcobaleno e l’approvazione dell’ultimo decreto sul lavoro, una legge che aumenta la precarizzazione attraverso l’ampliamento dell’uso e rinnovo dei contratti a tempo determinato e l’innalzamento della soglia dei voucher, nonché la “messa in sicurezza” del lavoro minorile svolto nei percorsi di alternanza scuola-lavoro, i cosiddetti PCTO. I governi continuano così a scaricare sulle fasce più povere della popolazione, e in particolare sul corpo delle donne, gli effetti della decennale erosione del welfare, in cui la figura mitologica della madre generatrice della “nazione” (bianca) e dei suoi figli accetta di abbandonare il lavoro (42.000 dimissioni dopo il primo figlio nel 2020, di cui il 77% donne) non vedendo garantito l’accesso al servizio pubblico in generale e al nido in particolare. Un diritto reso ancora più rarefatto dalla diseguale disponibilità del servizio tra Nord e Sud Italia, tra centro e periferia.
Dall’altra parte, la galleria dell’orrore appena rivisitata, fatta di numeri che nascondono vite reali, è anche il motivo per cui ci organizziamo. A causa di questi dati e contro queste politiche, è dal 2013 che ci mobilitiamo per costruire alternative all’esclusione da una vita degna. Dare
corpo a Soprasotto ha infatti voluto dire mettere in atto pratiche collettive per evitare che molte persone precarie, da poco diventate genitori, spesso senza contratti stabili e accomunati da nuove forme di parentela, precipitassero in un varco spazio-temporale che porta direttamente a più di mezzo secolo fa. Cercare soluzioni comuni per non trovarsi catapultati, da un giorno all’altro, negli anni in cui le “donne” stavano a casa e gli “uomini” lavoravano – una finzione resa oggi ancora più amara dal fatto che nessuno dei nostri stipendi è sufficiente da solo ad arrivare a fine mese. Contro questa macchina del tempo, negli anni si è costituita una comunità “incredibile”, nel senso che è difficile credere che da queste difficoltà potesse nascere un’esperienza decennale, che pratica forme di autogestione assembleari e partecipative, e che sviluppa relazioni di cura collettiva efficaci ed estremamente formative per tutt*: grandi e piccoli umani coinvolti nel progetto, chi abita il quartiere e le realtà che lo animano. Insieme, tutte queste entità hanno dato vita a una rete di cura socializzata imprevista, dando forma a un progetto che non è il fine ma uno strumento: l’autogestione e il mutualismo non sono infatti scelte sostitutive al servizio pubblico – delle “belle e simpatiche” alternative che possano finalmente dispensare economicamente le istituzioni dalle loro responsabilità – bensì pratiche conflittuali e rivendicative, che continueranno a esistere e moltiplicarsi finché non cambieranno le politiche sociali, con nuovi fondi ma soprattutto con un ripensamento strutturale della loro cruciale funzione nella società. Anche per questo viviamo con attesa e incertezza la situazione dello spazio fisico dove Soprasotto si colloca: uno spazio comunale di cui è scaduta l’assegnazione via bando all’Associazione Medionauta, che gestisce le attività del laboratorio permanente, e di cui non sappiamo ancora quale sarà il futuro e come l’amministrazione vorrà garantire la continuità.
Come dicevamo, guardare indietro diventa un esercizio complesso se festeggiare l’incredibile comunità che siamo si intreccia con l’amarezza di un contesto sempre più impoverito. Questa contraddizione rafforza tuttavia il nostro desiderio di continuare a pensare che si possa cambiare rotta, che si debbano trovare soluzioni comuni, pubbliche, accessibili. Così, continuando a costruire le alleanze necessarie affinché sia dato ascolto a queste istanze, il 6 maggio, dalle 11.00 di mattina, la comunità allargata di Soprasotto si incontra a Isola Pepe Verde. Per festeggiare, per stare insieme, per raccontare l’incredibile esperienza di mutuo aiuto costruita in questi dieci anni e per capire come andare avanti, nonostante tutto. Per continuare a denunciare la carenza del servizio pubblico in Italia e il sempre più violento abbandono delle persone, dei territori e delle fragilità, a partire dai bambini e dalle bambine.
6 maggio 2023, Milano